Blityri. Studi di storia delle idee sui segni e le lingue
Semestrale diretto da Stefano Gensini e Giovanni Manetti (ETS, Pisa)
Consiglio scientifico: M. Bettini (Siena), A.G. Conte (Pavia), T. De Mauro (Roma “La Sapienza”), U. Eco (Bologna), L. Formigari (Roma “La Sapienza”), D. Gambarara (Università della Calabria), I. Rosier (Paris, CNRS), G. Lepschy (Reading), F. Lo Piparo (Palermo), J. Trabant (Jacobs University Bremen).
Comitato di lettura: N. Allocca (Roma Sapienza), E. Canone (LIE-CNR), M. Capozzi (Roma Sapienza), M. De Palo (Salerno), D. Fausti (Siena), L. Forgione (Basilicata), C. Marmo (Bologna), C. Marras (Roma), A. Martone (Napoli), R. Pellerey (Genova), R. Petrilli (Tuscia), F. Piazza (Palermo), M.M. Sassi (Pisa), I. Tani (Roma Sapienza), S. Vecchio (Palermo), M. Vedovelli (Siena Stranieri), A. Zucker (Nice).
Redazione: Bertetti (Siena), S. Bonfiglioli (Bologna), M. Fusco (Roma Sapienza), A. Prato (Siena), G. Segreto (Siena), M. Tardella (Roma “La Sapienza”).
Blityri è la prima rivista italiana dedicata specialisticamente alla storia delle teorie semiotiche e linguistiche (esplicite e implicite), proponendosi come strumento di ricerca e luogo di discussione sui temi concernenti le idee sul segno e sul linguaggio, in chiave contemporaneamente teoretica e storica.
Un ulteriore tratto differenziante del lavoro della rivista è dato dall’attenzione all’intreccio (analizzato sempre in chiave storico-teorica) fra le idee e le teorie, da una parte, e dall’altra le pratiche sociali (cultura, educazione, politica ecc.), professionali e scientifiche (dalla medicina ai vari ambiti della comunicazione, inclusa quella religiosa) che hanno impegnato e impegnano risorse simboliche.
In tal senso la rivista intende sollecitare e rafforzare la collaborazione con chi, da settori vicini (dall’antropologia alla linguistica strutturale, dalla storia della filosofia alla storia della logica, dalla filologia classica alla storia della scienza), vede nel pensiero linguistico-semiotico un terreno proficuo per l’inchiesta filosofica.
Essa si affianca a già noti periodici stranieri di settore, puntando a una sempre crescente articolazione e integrazione internazionale della ricerca. A tal fine Blityri annovera nel suo consiglio scientifico e nel comitato di lettura i maggiori esperti italiani di storia delle idee sul linguaggio e i segni, oltre a qualificati studiosi di importanti università e centri di ricerca europei.
Anno I, n. 0. 2012
La rivista che con questo fascicolo comincia a esistere si propo- ne come strumento di ricerca e luogo di discussione sui temi con- cernenti le dottrine (esplicite e implicite) sul segno e sul linguag- gio, in chiave contemporaneamente storica e teorica. In questa prospettiva sia il primo che il secondo numero saranno dedicati ad una serie particolare di teorie semiotiche e linguistiche che, a par- tire dall’antichità classica, attraverso vari processi di continuità, rottura, trasformazione, hanno contribuito a configurare una parte importante del nostro panorama intellettuale contemporaneo.
Il progetto di Blityri nasce infatti dalla constatazione, da una parte, dell’importanza strategica della dimensione storica e stori- co-teorica nell’ambito di ricerca tipico della semiotica e della filo- sofia del linguaggio; dall’altra, dello spazio limitato che a questo ti- po di ricerca viene attualmente riservato nella pubblicistica di set- tore, particolarmente (ed è un po’ un paradosso) nel nostro paese, così ricco di tradizione negli studi storici. E ciò, malgrado siano numerosi, per quantità e qualità, i lavori di storia delle idee lingui- stiche e semiotiche opera di ricercatori italiani, che non per caso trovano spesso collocazione in riviste di altre aree disciplinari, ol- tre che, come è naturale e auspicabile che continui a accadere, in sedi internazionali specializzate. Del resto, il filone storico-teorico degli studi semiotici e filosofico-linguistici si presenta come ricco di interconnessioni con altre aree degli studi sia filosofici e filosofi- co-sociali (storia della filosofia e della filosofia della scienza, antro- pologia culturale, sociologia ecc.) sia, naturalmente, linguistici (fi- lologia classica e moderna, linguistica generale e glottologia, storia della lingua italiana), delineando un pubblico potenziale, oltre che un bacino autoriale, di non piccole dimensioni.
Si vuole offrire a questo pubblico di lettori e potenziali collaboratori una rivista che proponga, per un verso, ricerche originali di area (privilegiando una struttura semi-monografica dei singoli nu- meri), per un altro mezzi di informazione scientifica e di aggiorna- mento bibliografico sistematico che ne rendano a vari livelli utile la consultazione. L’auspicio è quello di contribuire a costruire un luogo di aggregazione sia di istanze metodologiche, sia di concrete ricerche in corso, che per un verso dia maggiore autonomia e riconoscibilità al lavoro storico in ambito semiotico e filosofico-linguistico, per un altro solleciti e rafforzi la collaborazione con chi, da settori vicini (dalla storia della filosofia alla storia della linguistica e della logica, dalla filologia classica alla storia della scienza), vede nel pensiero linguistico-semiotico un terreno proficuo per l’inchiesta filosofica.
In questa prospettiva, cercheremo di seguire un percorso non chiusamente disciplinare o settoriale, convinti come siamo che spesso istanze teoriche di massimo rilievo si situano ai margini dei saperi codificati dalle accademie (e dalle mode); di qui l’attenzione che ci si sforzerà di riservare all’intreccio fra le idee e le teorie (espresse o implicite) da una parte, e dall’altra le pratiche sociali (educazione, politica ecc.), professionali e scientifiche (dalla medi- cina ai vari ambiti della comunicazione, inclusa quella religiosa) che hanno impegnato e impegnano risorse simboliche.
Nell’avviare questa iniziativa editoriale (a cadenza semestrale, con la possibilità di costruire numeri doppi a cadenza annuale, in ragione di specifiche esigenze, e con l’auspicabile complemento di risorse elettroniche) siamo ovviamente ben consapevoli di sfidare le enormi difficoltà che si frappongono oggi, in Italia, a chiunque desideri continuare a fare ricerca, particolarmente nel settore uma- nistico. D’altro lato, una nuova rivista specializzata, a carattere sto- rico-teorico, si situa in un contesto internazionale in cui sono atti- ve da molti anni testate autorevoli (ricordiamo le maggiori: Histo- riographia Linguistica [1974-], Histoire épistemologie langage [1979-], Beitraege zur Geschichte der Sprachwissenschaft [1991-]), che mettono la dimensione storica al centro dei propri interessi. Non intendendo sovrapporsi a queste pubblicazioni, Blityri esplo- rerà soprattutto un territorio semiotico e filosofico-linguistico, quel- lo che a nostro avviso più favorisce lo scambio di esperienze e co- noscenze coi settori limitrofi di cui abbiamo detto. Anche sul pia- no della ricerca internazionale, quindi, nostro obiettivo è soprattutto quello di arricchire e integrare l’offerta scientifica e le opportunità di circolazione delle idee, mettendo a frutto, speriamo, quella convinzione dell’inseparabilità di storia e teoria che abbiamo appreso dai nostri maestri diretti.
Due parole sui primi due fascicoli della rivista, che usciranno a breve distanza l’uno all’altro. Il primo numero concerne ricerche su teorie semiotiche e linguistiche che hanno la loro origine nel- l’antichità classica: le definizioni delle nozioni rispettive di «se- gno» e di «simbolo»; i dibattiti sulla loro natura e sui modi di co- struzione dell’inferenza semiotica; la conoscenza debole attraverso il verisimile, utile nelle situazioni di incertezza; i problemi antichi dell’interpretazione, della traduzione e della comunicazione; la co- noscenza della dimensione interiore attraverso i segni fisiognomi- ci; la teoria della definizione e la possibilità di un’analisi compo- nenziale del senso tra Platone ed Aristotele; le teorie fonico-grafi- che del linguaggio e quelle organizzate a partire dalla dimensione significante.
Il secondo numero è invece centrato su ricerche che concerno- no aspetti collegati all’onda lunga che le teorie antiche hanno pro- dotto attraverso il tempo per arrivare alla contemporaneità: la ri- presa e il rimodellamento, a partire dalla tarda antichità fino al Ri- nascimento, della nozione di simbolo; la rilettura e l’uso in chiave medica delle nozioni aristoteliche di lettera e di articolazione nel Cinquecento; la riflessione sulla nozione di metafora; gli approfon- dimenti sull’interrelazione tra linguaggio e natura umana tra Sette e Ottocento e il loro rapporto sia con il tema dell’origine del lin- guaggio, sia con quello delle sue forme primordiali, come il con- dillacchiano «linguaggio d’azione».
Concludendo, o meglio, prima di cominciare, siano ringraziati i colleghi e amici di varie università, italiane e straniere, che hanno accettato di fare parte del Consiglio scientifico della rivista o del suo Comitato di lettura, permettendoci così di allinearci alle oggi condivise esigenze di controllo e pubblicità dei criteri di selezione editoriale, e al metodo della peer review che ne è una necessaria articolazione. Un ulteriore ringraziamento è dovuto all’editore, nella persona di Alessandra Borghini, che in tempi così avari ha creduto nel progetto e ha accettato di realizzarlo.
Due parole sul titolo scelto per la rivista: blityri è un termine appartenente alla filosofia del linguaggio degli Stoici, citato come esempio di un’espressione priva di senso, anche se articolata; in so- stanza una lexis contrapposta ad un logos, espressione, quest’ulti- ma, non solo articolata, ma anche sempre pienamente dotata di significato. Riportata inizialmente da Diogene Laerzio (Vitae philosophorum, 7, 57, 5) e da Galeno (in più passi del De differentia pulsuum e nel De methodo medendi, 10, 144, 11, ed. Kühn) la strana e anomala espressione ha continuato ad essere riproposta da quasi tutti gli autori dell’antichità e del Medioevo che si sono occupati di linguaggio, riuscendo persino, in un’epoca più vicina a noi, a stimo- lare la curiosità di Giacomo Leopardi (Zibaldone, p. 43). Vogliamo sperare che susciti nei lettori la stessa ambivalenza con cui risuona nei nostri pensieri: «bedeutungsloser Klang» (come traduce una studiosa recente), va bene, ma anche, e proprio per questo, ricerca e spazio di un senso possibile.
Stefano Gensini, Giovanni Manetti
Anno I, n. 1. 2012
La prima annata di Blityri è stata dedicata a un’esplorazione per campioni di quell’immenso territorio rappresentato, per la storia delle idee sui segni e le lingue, dal nesso (fatto di anticipazioni, ritorni e sviluppi, elementi comuni, tensioni) fra classicità e modernità. Se nel primo fascicolo l’obiettivo è stato puntato sulla fase antica di questo dialogo, il secondo fascicolo (con l’eccezione di una incursione nella storia del concetto di ‘simbolo’ in età tardo-antica nel saggio di Stefania Bonfiglioli e di un parallelo stabilito nel saggio di Fabio Stella tra età antica ed epoca contemporanea) focalizza invece autori e testi della modernità, grosso modo fra gli inizi del Seicento e gli inizi del Novecento. La scelta dei temi esemplifica pertanto, seguendo percorsi anche molto diversi, alcune possibili scansioni del nesso classicità/modernità.
Anno II, n. 1. 2013
Il soggetto in questione. Semiologia degli indizi e tradizione linguistico-fenomenologica
L’attuale terzo fascicolo di Blityri include nella parte monografi- ca i testi che sono stati presentati all’Atelier “Linguistica, fenome- nologia, semiotica” durante il XL Convegno dell’Associazione Ita- liana di Studi Semiotici, tenutosi a Torino, 28-30 settembre 2012, Semiotica delle soggettività.
Tutti i saggi di questa sezione illustrano aspetti di una riflessio- ne in chiave semiotica relativa al tema della soggettività. Tuttavia si può individuare una suddivisione dei testi della parte monografica in due gruppi omogenei. Nel primo gruppo di sei saggi è presenta- to, nelle sue linee teoriche e nelle sue applicazioni, il metodo di analisi semiotico-testuale definito come “semiologia degli indizi”. Ideato dalla studiosa francese Anne-Marie Houdebine, che è anche autrice del primo saggio, tale metodo trova una sua ispira- zione e una ascendenza nel testo di Barthes, L’aventure sémiolo- gique, del 1985. La semiologia degli indizi si oppone (o meglio, si affianca), ad una semiologia dei segni in quanto quest’ultima pren- de come suoi oggetti delle entità strutturate, che derivano la loro significazione dal fatto di fare parte di un sistema oppositivo che garantisce per ciò stesso la dimensione relazionale del senso. La semiologia degli indizi valorizza, invece, la dimensione indiziaria degli elementi in gioco; le entità con cui lavora sono dunque non dei “segni”, ma dei “significanti indiziali”, concetto, quest’ultimo, che congiunge sia la nozione di indizio come è presente nella psi- canalisi, segnatamente quella ispirata a Lacan, e la nozione di si- gnificante, quale ci è presentata dalla linguistica saussuriana. Il si- gnificante indiziale, pertanto, è una forma che rimanda ad un sen- so che non è imposto da un codice in maniera differenziale; quest’ultimo, dunque, da una parte non è sistemico (casomai è da collegarsi ad una struttura flessibile e non rigida), dall’altra deve essere scoperto e isolato attraverso un percorso interpretativo. Tale percorso prevede due fasi o tappe successive, che portano ad una analisi euristica di fenomeni sociali e culturali.
La prima fase è detta sistemica ed è finalizzata all’individuazio- ne e alla selezione degli elementi di una determinata manifestazio- ne testuale o pratica sociale (linguistica, iconica, sincretica, ecc,) che possano essere considerati pertinenti all’analisi. In questa fase il testo da analizzare viene propriamente costruito, isolando gli elementi candidati ad essere i significanti indiziali da sottoporre all’analisi nella fase successiva e scartando quelle entità che non rientrino nel quadro che verrà successivamente sottoposto all’in- terpretazione. Si tratta di una fase preliminare, improntata a rigore ed oggettività, che permetta di evitare le interpretazioni essenzial- mente proiettive. Nei termini della semiotica di Eco (I limiti dell’interpretazione, 1990), questa fase potrebbe essere vista come quella in cui si evita di dare spazio alle possibilità di uso dei testi, tipiche, secondo l’autore, della intentio lectoris, interpretazioni idiosincratiche che non vengono giustificate da nessuna delle pos- sibili coerenze del testo.
La seconda fase è detta interpretativa, ed è quella che riguarda l’operazione di dare un senso ai significanti indiziari enucleati nel- la fase precedente. La metodologia che è sottesa a questa fase si configura – barthesianamente – come “prassi critica”, che ha come scopo quello di portare alla luce la dimensione inconsapevole del vissuto culturale e di enucleare gli effetti di senso prodotti ed i va- lori simbolici delle manifestazioni semiotiche sotto analisi. Viene sottolineato che per far questo si ricorre all’utilizzo della lingua di descrizione del ricercatore, partendo dall’ipotesi che le associazio- ni che egli individua in relazione ai significanti indiziari gli sono imposte culturalmente.
Tuttavia, una parte di soggettività, che non si dimostra priva da condizionamenti sociali, può essere presente in ciascuna delle due fasi, che permetterà di proporre delle diverse potenzialità interpre- tative, da selezionare sulla base dell’efficienza ideologica e da ge- rarchizzare.
Il secondo gruppo di tre saggi della parte monografica indaga la nozione di soggettività come viene proposta in alcuni autori della recente o attuale storia linguistica (in particolare: Michel Bréal, notoriamente spesso indicato come fondatore della moderna se- mantica; Hendrik Josephus Pos, filosofo olandese allievo di Husserl, segnalato da Jakobson per il ruolo che ebbe nella fondazione di una fenomenologia del linguaggio e nella costruzione dello stes- so strutturalismo; Vincent Descombes, studioso contemporaneo, il cui pensiero ruota intorno alla nozione di istituzione nel quadro dello studio delle relazioni che legano il soggetto parlante, colto nella sua singolarità, alla socialità di cui sono impregnati i suoi atti. Per questa caratteristica di analisi storico-critica i tre saggi costi- tuiscono un ponte con la parte miscellanea in cui si analizzano te- matiche di ricostruzione storico-linguistica: in particolare la teoria della sillaba come viene proposta da Aristotele e una teoria dell’at- to linguistico, elaborata molto precocemente nei primi decenni del Novecento da Alan H. Gardiner, che si dimostra antesignana delle istanze pragmatiche e sociologiche che tanta parte hanno avuto nella seconda metà dl secolo scorso.
Anno II, n. 2. 2013
Fra teoria e storia delle idee linguistiche
Anche questo fascicolo, che chiude la seconda annata di Blityri, si concentra sulla Modernità, con una specifica predilezione per il periodo storico che corre fra il Seicento e il primo Novecento, il lungo arco temporale e tematico che attraversa la produzione di una maestra dei nostri studi: Lia Formigari, già titolare di Filosofia del linguaggio nell’Università di Roma “La Sapienza”, cui il pre- sente quaderno è dedicato*. La geografia culturale qui mappata, tramite sondaggi di diversa natura e taglio metodologico, è quella su cui Lia ha lavorato in libri e saggi ben noti: la Francia, l’Italia, il mondo britannico e quello germanofono; i temi sviluppati sovente incrociano direttamente i suoi, in ogni caso risentono di un dialo- go che le persone presenti in queste pagine hanno con lei intratte- nuto, in forme e con tempi volta per volta differenti.
Un filo rosso forse si può trovare in questi contributi, ed è quel- lo che, a ben guardare, ha animato gli studi storico-filosofico-lin- guistici degli ultimi decenni, e che nella festeggiata ha trovato una delle più continue e rigorose interpreti: la ricerca di una linea al- ternativa fra l’ottica dei “precursori” (attiva in molti lavori degli anni Sessanta-Settanta) e quella filologico-ricostruttiva, scevra di particolari tensioni teoriche, che ha caratterizzato molta ‘storiogra- fia linguistica’ del periodo successivo. La scommessa di un diver- so, possibile approccio storico-teorico sta, da una parte, nella con- sapevolezza dell’assoluta storicità e contestualità di ogni apparato concettuale, da indagare, quindi, iuxta propria principia, nel nesso indissolubile che lo lega alle condizioni culturali e materiali in cui ebbe a maturare, e con le problematiche (linguistiche, filosofiche, religiose, giuridiche…) del suo tempo; dall’altra, nella percezione che le domande della filosofia del linguaggio hanno una singolare costanza attraverso il tempo e lo spazio, riferite come sono a un oggetto di studio fisiologicamente oscillante fra l’universalità del suo insediamento nella prassi umana, e la particolarità del suo concretizzarsi nella storia.
Di conseguenza, se per un verso fare i conti con l’identità stori- ca dell’oggetto (uno schema grammaticale, un trattato di retorica, un’ipotesi sull’origine del linguaggio…) è condizione di possibilità di qualsiasi conoscenza critica intorno a esso, per un altro farlo dialogare con i temi di lungo periodo della filosofia del linguaggio (un esempio può essere l’antichissima diatriba su thései e phýsei) è necessario per svilupparne il potenziale teoretico, per fare sì che lo studio storico entri a far parte del dibattito epistemologico più ge- nerale. Ed è forse non inutile ricordare che anche nei più recenti dibattiti all’interno delle scienze cognitive di seconda generazione (giustamente intese allo studio dell’infrastruttura cerebrale del lin- guaggio e alla ricomposizione della vecchia scissione mente/corpo tipica dell’asse chomskyano-fodoriano) ricorrono con sorprenden- te centralità termini e categorie (basti pensare alla nozione di ‘ico- nico’ in un piccolo classico come The symbolic species di Deacon o a quella di ‘inferenza’ nelle teorie cognitive della comunicazione) che, pur avendo alle spalle migliaia di anni di tradizione, vengono tuttavia spesso usate in modo piuttosto ingenuo e approssimato.
È dunque lecito auspicare una collaborazione più stretta fra ap- proccio storico e approccio teorico? È lecito ipotizzare che la for- mazione delle nuove leve, in filosofia del linguaggio e in semiotica, implichi tali prospettive come entrambe necessarie e interagenti? Gli autori di questo fascicolo sottoscrivono volentieri una possibi- le risposta positiva a entrambi gl’interrogativi. E ritengono che l’a- rea disciplinare della filosofia e teoria dei linguaggi abbia, in termi- ni sia scientifici sia “politici”, tutto da guadagnare da ciò. In ogni caso, questa è stata ed è la lezione di Lia Formigari, che nell’inter- vista rilasciataci, e che pubblichiamo in chiusura, torna in modo assai vivace e, ci sembra, molto proteso verso il futuro, sulle scelte di fondo che segnano la sua lunga carriera scientifica.